Il costo che ha l’addio, nei silenzi di serate in cui sei da solo, e la sola cosa che ti rimane è pescare, ancora una volta, nei ricordi…
Il costo che ha l’addio. Un costo veramente alto e difficile da pagare.
Te ne sei andata via lo scorso 27 Ottobre. Sono stato l’ultima ed unica persona che ha riconosciuto prima di spegnerti nell’agonia del sonno eterno. È quasi passato un anno, e, adesso, sta cambiando tutto, sta mutando tutto. Le persone, i luoghi, gli oggetti, intorno a me, stanno lentamente cambiando forma e dimensione nel tempo e nello spazio, così come tutto quel vuoto che, adesso, resta dentro una casa spoglia e priva di tutto quello che la rendeva viva. Ricordo perfettamente l’odore che aveva la Vigilia di Natale, l’odore della candela sul tavolo, ed io che, alle 17, correvo prima di tutti gli altri ospiti per cominciare a preparare la cena. Ricordo perfettamente l’emozione del Capodanno, e ancor più perfettamente ricordo il suono del concerto di Capodanno, in diretta su ZDF, con la Wiener Philharmoniker diretta da grandi direttori d’orchestra, da Riccardo Muti a Zubhin Meta. Ricordo perfettamente, alle ore 12, l’annuncio di Pepi Franzelin in perfetto tedesco, che raccontava le fasi salienti del grande concerto. Ricordo l’odore che avevano i pomeriggi d’estate, e l’odore dei gelsomini che entrava dal balcone. Adesso, si è perso tutto. Per sempre ed irrimediabilmente. Provo una pena gigante nel rendermi conto che non è rimasto più niente. Solo stanze vuote, senza più mobili, senza più niente di niente. Di tutti quei mobili rimasti lì dagli anni cinquanta, che hanno visto passare davanti tutte le nostre vite, non è rimasto più niente. Tutto andrà via. Tutto si distruggerà. Tutto è morto con loro. Questo oggetto è simbolico: è una delle poche cose che mi legano ancora a te. Era tua, della tua giovinezza, ed era sempre accanto al tuo letto, sul comodino, anche il giorno in cui sei andata via per sempre. Oggi mi uccide l’idea che questa sia l’unica, ultima cosa che possa legarmi a te. Mi distrugge l’idea che, di tutti quegli anni di vita, non sia rimasto più niente tranne questo silenzio che mi divora e mi distrugge giorno per giorno. Mi sento così solo da quando non ci sei più. Mi sento così vuoto, così schifosamente incompreso. E mi rendo conto, ancora una volta, di quanto dolore e male facciano gli addii, di quanto il loro peso possa essere insopportabile. Ho provato tanti addii nella mia vita, ed ogni volta è come la prima volta, con lo stesso, medesimo, identico dolore. D’altro canto, non avrei certo potuto pretendere che tu fossi ancora qui: ormai stavi troppo male, e per il nostro egoismo di volerti tra noi a tutti i costi, non avrei potuto pretendere tutto questo. Ma il ricordo non basta. Resta dentro un dolore che mi frantuma. Resta dentro il vuoto di una vita che se ne va via per sempre, e si porta con sé tutto quello che abbiamo vissuto. Mi illudo di pensare che tu ci sei, che ascolti questo mio dolore. Non lo so, ma sono fermo da un’ora, nel silenzio di questa casa vuota, a piangere e ripensare. E il vuoto di queste mura, lo sento tutto su di me. Come le lacrime che si seccano sul pavimento. Come le parole che ho perso, e tutte le cose che sono rimaste da dire.
“Si cercano parole che nessuno dirà, ma non lo sanno che ormai, tu non ci sei” (C. Aznavour)