Il bullismo più grande che ho subito è stata l’indifferenza, tra cicatrici che rimangono e non vanno di certo via così facilmente…
Il bullismo più grande che ho subito è stata l’indifferenza: un dolore che non va via così facilmente…
Da qualche tempo ho cercato di aprire il mio cuore e trovare il coraggio di raccontare a quante più persone la mia storia, quello che ho subito lungo pesantissimi anni di scuola, e sono grato del fatto che la mia voce, il mio racconto – uno in mezzo a tanti, uno che, forse, non ha niente di più rispetto a tantissimi altri – sia giunto così lontano, addirittura in TV, qualche mese fa, durante il Grande Fratello, in diretta. Io stesso stentavo a crederci. Eppure, questa sera, in macchina, parlavo con la mia compagna, raccontavo, a cuore aperto, tutto il dolore subito, tutto il male ricevuto, ed insieme a lei mi sono reso conto che il bullismo più grande che io abbia potuto subire non sono i pugni al fegato che ho preso, non è la carne stretta tra due dita fino a farmi esplodere i capillari, non è il puntatore laser puntato verso gli occhi, che mi ha fatto vedere verde per sei ore, le vessazioni psicologiche, l’isolamento, no. Quello mi ha solo lasciate ferite indelebili. No.
Il bullismo più grande che ho ricevuto è stata l’indifferenza, è stato l’essere lasciato da solo anche da chi doveva aiutarmi, anche da chi doveva tutelarmi: me li ricordo molto bene i professori, alle medie, quando si divertivano a scrivere NON SUFFICIENTE alla voce “Socializzazione”. Mi ricordo molto bene la loro complicità con quegli infami, me le ricordo bene le mortificazioni davanti a tutti gli altri, solo per farmi piangere, solo per accentuare i miei difetti fisici, solo per dire che “era colpa mia”, che subivo ogni santo giorno tutta quella violenza. Me lo ricordo bene quel NON SUFFICIENTE urlato ad alta voce davanti a tutti, per fare esplodere le risate e le sghignazzate di tutto il resto della classe. Me lo ricordo molto bene entrare in classe ed essere isolato da tutti con la manforte dei docenti, mi ricordo tutto virgola per virgola. E mi ricordo bene di una mia compagna, isolata da tutti come me, buttata come un sacco d’immondizia, da sola, in un angolo della classe, in fondo all’aula, “punita” per avermi difesa, e aver denunciato di aver subito il medesimo trattamento.
Mi ricordo benissimo quando, un giorno, uno stronzo di mio compagno finse di essersi fatto male per colpa mia, quando io non ero nemmeno in classe, e andando dal Professore inventò una storia, di sana pianta, e il Professore venne a punirmi senza che io avessi fatto nulla, con la complicità di tutta la classe che non batté minimamente ciglio. Mi ricordo bene cosa significa il gaslighting, quando ti fanno passare per pazzo, quando cerchi di spiegare che stanno manipolando la vicenda, che non è vero, e passi per bugiardo, e non c’è un solo porco che ti crede: mi ricordo molto bene della complicità dei docenti nel non aver mai preso le distanze da questi comportamenti, dai chiodi messi sulla sedia, dalle merendine calpestate sotto i piedi mentre gli altri mi tenevano per evitare che potessi anche solo reagire.
Ma la mortificazione più grande, è stata il sentire il racconto dei docenti al fatto di aver reagito e aver cercato di difendermi: mi ricordo bene un giorno, quando un mio compagno di classe mi prese da dietro, con la piega del gomito, per cercare di strozzarmi, ed io, nel cercare di dimenarmi, lo colpii con il gomito a mia volta nel tentativo di liberarmi. Il giorno dopo, alla richiesta di spiegazioni, ricordo bene cosa disse quella docente: “eh, ma dica a suo figlio, la prossima volta, DI EVITARE DI DARE GOMITATE ALLA GENTE”. E tutti lo avevano visto, e nessuno aveva il coraggio di ribellarsi, e tutti lo sapevano. Ora andatevi a battere il petto, andate in giro a parlare di quanto siate stati professionali in servizio, di quanto siate stati ottimi docenti e ottimi allievi, persone con una vita piena, di successo, di affari.
Che cosa ha fatto l’istituzione scolastica per difendermi? Che cosa ha fatto l’istituzione scolastica per tutelarmi? Che cosa ha fatto la scuola per tutelare il mio diritto a vivere sereno quel tempo così terribile? Pensateci, ragionateci.
Sono giunto ad un punto della mia vita in cui racconto apertamente quello che ho subito, quello che mi hanno fatto, e quello che ho dovuto superare DA SOLO, consapevole di quanto dia fastidio il racconto di una persona che ha sofferto, e che molti si appresteranno a bollare come “vittima” chiudendo in fretta il caso. Giudicatemi pure. Io me ne fotto. Posso passare per debole quanto vi pare e vi piace, ma a 36 anni, ve lo dico con grande sincerità, sono giunto al punto di utilizzare il vostro infido ed inutile giudizio come carta igienica. Se giudicate come “debole” o come “persona che fa la vittima” una persona che ha subito tutto questo, immaginate quale inutile stiamo io (non) possa avere di voi! Figuratevi!
La verità è che merda eravate e merda siete rimasti: il bullismo continua ancora adesso. La verità è che il bullismo esiste ancora oggi nella mia vita, e ancora oggi il bullo di turno continua a mistificare la realtà, pretendendo di colpevolizzare me. Neanche un paio di mesi fa mi sono sentito dire, tramite messaggio privato:
Ti riempi la bocca di questi paroloni ed è una vergogna nei confronti di chi queste cose le subisce davvero… Fai miliardi di post col tu parlare bene dove dici sempre le stesse cose per passare da vittima. Fai altri 4 post pietosi. Dai, poverino! Due belle storie con un papello!
E questo dimostra una sola cosa: che alla merda vera non solo non c’è fine, ma non c’è neppure un minimo di cervello. Chissà, forse è proprio vero quello che in tanti mi hanno detto:
Il Daniele che subiva il bullismo non esiste più. Daniele ora è diverso: è amato da milioni di persone, lo ascoltano in radio, gestisce il Blog più antico d’Italia, è uno stimato professionista. Daniele, ora, sa reagire. Daniele, ora, vive le cicatrici rimaste sulla sulla sua pelle.
Forse è vero, è solo che, certe volte, mi sento così solo, così indifeso, così senza forze per reagire alla cattiveria degli altri, alla loro superficialità, al male che mi fanno senza neppure badarsene. E’ solo che certe volte è difficile fare finta di niente. E’ solo che quando ti piantano un coltello, dieci coltelli, mille coltelli, la ferita rimane. Forse si rimargina, ma il segno resta addosso, come un marchio che nessuno può più strapparti via, e che ti cambia, inesorabilmente, per sempre.