Una triste, enorme, illusione che lascia cicatrici profonde e ti fa restare con un pugno di mosche tra le mani: peccato che tu ci credevi veramente…
Vedi cosa,
ci sono giornate come questa, scialbe, scipite, senza il sole, che covi una tristezza dentro che quasi ti incupisce, e cerchi di dare una spiegazione logica a tutta la sofferenza che hai provato negli ultimi periodi…
…Ti domandi se può aver avuto un senso la sofferenza di quei pomeriggi che non finivano più, trascorsi alla finestra ad aspettare un volto che spuntasse da dietro l’angolo del palazzo, ad attendere un telefono che squillasse, un messaggio, qualche cosa… E niente…
…Ti chiedi che senso abbiano avuto quei pomeriggi eterni che non passavano mai, in cui il tempo sembrava essersi congelato, come per magia, e sembrava non passare più: domeniche senza una fine, trascorse nel vuoto, nel silenzio, a calpestare marciapiedi vuoti in mezzo a strade deserte, a piangere sotto gli occhiali da sole così che nessuno ti vedesse, con la desolazione dentro e fuori a fare da cornice a vuoti talmente grandi da essere incolmabili… Restare seduti su una panchina, ad aspettare che il sole se ne andasse via, a veder sfrecciare le auto lungo la strada, aspettando che arrivasse la sera per sapere che un altro giorno se n’era andato…
…Ti chiedi quale senso ha potuto avere quel falso senso di colpa, anzi QUEI falsi sensi di colpa che ti hanno affibbiato, forse per l’antico vizio di scaricare sugli altri le proprie frustrazioni, e cerchi di capire a cosa sia servita tutta quella maledetta fatica, con il corpo sempre più debole ed indolenzito da tutto quello schifo, da tutto quello stress, da tutta quella voglia di buttare all’aria la qualsiasi e andarsene… Ma andarsene dove?
Il resto, poi, è storia: si rinasce, ci si rimette in piedi e si soffre di un dolore talmente forte da non riuscire ad essere classificabile, da non poter essere neppure calcolabile, ne spiegabile, decifrabile con le semplici parole. Anche se sei ferito, la vita t’impone di andare avanti, perché al tempo, alla società, alla gente, non frega assolutamente niente del tuo dolore, non frega assolutamente niente di quello che hai dentro, del male che vivi silenziosamente, e sei costretto a sorridere e a fare finta di nulla, perché non puoi trasportare il tuo dolore nel tuo mestiere, così come non puoi far sentire ad altri il tuo dolore così profondo, perché, in fondo, non ne hanno colpe, e tu, da professionista, non puoi permetterti il lusso di mischiare due orbite completamente distanti come il lato professionale e quello umano.
C’è una cosa, poi, che fa più male in assoluto: l’acquisizione di una consapevolezza che non hai mai voluto guardare in faccia. E fa male sapere che, di fatto, hai perso il tempo appresso a qualcosa che non sarebbe mai potuta accadere ne realizzarsi, perché i guai sarebbero stati più del sogno che stavi costruendo, delle belle parole e delle belle speranze che volevi vivere ogni giorno, e uno strano senso di tristezza ti prende, perché pensi al tempo che è passato “a rincorrere il vento”, a rincorrere un gigantesco nulla mascherato da illusione, e devo dire che è molto, molto triste avere la consapevolezza di aver buttato via i tuoi anni migliori in questo modo, appresso all’illusione del nulla, come se rincorressi qualcosa che, in realtà, non esiste, non è mai esistita e non esisterà. Ed è forse questa la parte che fa più male, la consapevolezza del nulla, del niente, del vuoto a cui hai creduto ogni santo giorno: è come aver investito in un grande niente, e ritrovarsi, poi, con le tasche vuote e l’anima in frantumi…
Certo, il cerotto andava strappato via, ma restano cicatrici estremamente profonde, e quando le guardi senti ancora un dolore sincero, sordo, cupo, ma non ti resta più la forza di reagire, ma solo di accettare il significato vero di un gigantesco nulla a cui hai creduto.